Editoriale
Si parla
molto di politica, di Stato e di giustizia. Una quota traboccante dei dibattiti
sui media e nei salotti è occupata dai commenti sui rappresentanti dei governi,
dalle polemiche sui partiti e dai giudizi sui costi e gli errori dell’apparato
statale.
La politica
tuttavia, anche etimologicamente, non è soltanto la scienza che regola il
governo e l’amministrazione di un Stato ma nel suo significato più ampio
riguarda tutte le pratiche e le prassi che interessano la comunità e la
molteplicità (dal greco pólis). Lo
Stato non è semplicemente l’insieme degli organi che lo dirigono ma l’intera
collettività. Perché quindi limitare pratiche che riguardano tutti ad una responsabilità
dei soli nostri rappresentanti?
Praticare
questa riduzione della realtà è uno degli errori in cui è molto facile cadere ed
è responsabile di buona parte della sensazione di malessere percepita nelle
società moderne.
La
democrazia è tutt’oggi la più recente forma di governo raggiunta. Sebbene non
sia perfetta, questa rappresenta oggi il più evoluto sistema elaborato
dall’uomo per regolare la vita di uno Stato. Addossare la responsabilità di ciò
che accade in una nazione democratica, all’élite di persone che la amministra, può
essere un atteggiamento superficiale e una forma di disfattismo, che svia da
un’analisi sincera, delegittimando la parte più rilevante della nazione stessa,
il popolo. Attribuire ai governanti, e più in generale ai rappresentanti di
ogni forma di potere, l’andamento di un paese, è un atteggiamento che rischia
di alimentare l’invidia e può diventare una scappatoia per alleggerirsi la
coscienza, non considerando il concetto comprensivo di Stato e privando di
dignità i suoi abitanti. Il benessere in una società è responsabilità di tutti
i suoi partecipanti e dell’insieme dei loro comportamenti. La diligenza e
l’impegno chiesti ai politici di professione non è diversa da quella necessaria
da parte di tutti i membri della comunità. Ogni elemento di una collettività è chiamato
a contribuire alla crescita armoniosa di questa in maniera direttamente
proporzionale alla sua capacità e al suo ruolo.
Il debito
pubblico in Italia, per esempio, è la somma degli impegni presi dallo Stato
(noi tutti). Lo Stato Italiano è tra i primi al mondo per l’assistenza prestata
ai cittadini e ai deboli e per la spesa sociale (welfare). In pochi paesi del
mondo esistono una cura del malato ed una protezione delle categorie in difficoltà,
evolute e organizzate come nel nostro. Queste eccellenze costano molto e si
accumulano nella spesa pubblica. Sono poi le tasse e le imposte che hanno il
compito di fornirne le risorse economiche necessarie.
Ogni
volta che chiediamo protezione, sicurezza e garanzie andiamo ad incidere sulle
spese della nostra amministrazione e obblighiamo a legiferare in proposito. Ogni
evasione, ogni infrazione, pretesa di tutela, ogni spreco o privilegio comporta
dei costi, un aumento della burocrazia ed un appesantimento dell’apparato di
controllo. Tanto più si chiede, tanto si dovrà dare; la differenza diventa
debito pubblico.
La
lamentela di chi si sente soltanto spettatore e vittima si smarrisce
nell’inseguimento di capri espiatori e nel complottismo, si alimenta della
rabbia e delle polemiche e si allontana da un atteggiamento politico
individuale capace di costruire benessere e unità.
L’impegno
personale, il rispetto del contratto sociale, la responsabilizzazione, l’onestà
e la partecipazione alla vita dello Stato in ogni scelta e comportamento, sono
la risposta positiva e creativa al nostro bisogno di giustizia e la vera arma
di cambiamento che onora il ruolo di ognuno di noi, inteso come agente politico
a tutti gli effetti.
Luca Streri