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LIBERARE IL CONFLITTO

Editoriale

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L’indole dell’essere umano è quella di un animale sociale dominante che
vive in branco e che mantiene la sua disposizione a conquistare, proteggere il
territorio e a prevaricare. La nostra società è evoluta ed organizzata ma l’attitudine
a superare gli altri e allo scontro rimane estremamente forte.

I conflitti sono espressione atavica della nostra animalità e
ripercorrono meccanismi che ci riportano al nostro essere istintivo. Non esiste
vita senza scontri, tuttavia questi sono spesso vissuti con sofferenza e come
causa di divisione, rallentando il progresso civile.

I conflitti possono bloccare, ferire ed essere motivo di forte stress
ma possono anche far evolvere. La presenza degli altri e le loro idee possono
essere vissuti come un peso o un fastidio e alimentare insofferenza o irrequietezza,
alla base della nascita della conflittualità. Il fatto che sorga un confronto
su valori diversi, sui obiettivi e interessi differenti non è sempre un segno
di cattiva convivenza ma può anche essere sintomo di una partecipazione vitale
e appassionata. Molti fanno fatica ad accettare e ad affrontare i conflitti,
sono congelati, indeboliti e prevenuti nei confronti di chi la pensa in modo
diverso. Spesso ferite personali, rabbia, sensi di colpa e gelosie non permettono
di vivere con serenità un contraddittorio o una diversa visione della realtà.

Esistono però diverse modalità per affrontare un conflitto, alcune arricchenti,
altre indebolenti.

Le reazioni più istintive allo scontro, la fuga e il contrattacco, sono
tipicamente anche quelle che più ci impoveriscono e che creano sospesi che nel
tempo tenderanno a ripresentarsi. Eludere o ignorare un conflitto, spesso, non
ne permette il superamento ma gli offre spazio per rinvigorirsi. Attaccare invece
crea competizione con chi ha originato il conflitto e ne alimenta l’aggressività.

I contrasti possono nascere dalla paura del cambiamento, dal timore di
essere sottovalutati, dalla mancanza di fiducia negli altri o in sé stessi o
dal bisogno di controllo. La parola conflitto deriva da fligere, urtare; il suo approccio alternativo è il confronto, da frontem, mettere di fronte. Nel
conflitto le posizioni sono contrastanti ed incompatibili, non esiste il
desiderio di com-prendere la posizione altrui. Il confronto pone invece le
parti su un livello comune e si svolge attorno ad un dialogo conoscitivo che di
per sé è già arricchente, mentre rinuncia ad imporre una convinzione
preconfezionata. L’equilibrio tra l’imposizione di sé e l’accoglienza
dell’altro è la vera discriminante. Volere il bene dell’altro non significa
chiedergli di essere come noi vogliamo ma riconoscere ciò che egli è e
rappresenta. Senza rinunciare ai propri valori, l’affermazione del proprio
pensiero non perde forza quando si manifesta, anche con determinazione, senza
tuttavia bisogno di doversi imporre.

Per uscire dal conflitto occorre gestire gli stati d’animo che lo
originano, come la rabbia, la tristezza e la frustrazione, le logiche di
potere, l’attaccamento alle proprie convinzioni e agli stereotipi e desiderare
sinceramente il raggiungimento di un traguardo comune, che esuli dagli
interessi personali e dal ruolo che ci si è configurati, per trovare la giusta
combinazione di elementi che come in una formula chimica, permetta il
raggiungimento della combinazione giusta. Il compromesso non è un figlio povero
della battaglia ma il re che vien partorito nella pace. Nella nostra civiltà
così competitiva, cedere e sbagliare sono spesso vissuti come fallimenti, vincere
però non è il risultato più soddisfacente per la somma delle parti perché
lascia sempre dei perdenti. La pace non si conquista ma si raggiunge, quando
tutti sono in pace.


Luca Streri


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