per la campagna per la Parità di Informazione Positiva #mezzopieno
Giornalista, ha collaborato con il Corriere del Mezzogiorno, la Gazzetta dell’Economia di Puglia e Basilicata, Mark up (Il Sole 24 Ore) ed è curatrice della rubrica Tipi Tosti per Democratica.
Cos’è per lei una buona notizia?
Una buona notizia è prima di tutto una notizia ben costruita, quindi basata su fatti concreti, che non crea effetto trompe l’oeil, cioè, non ti inganna, nello stesso tempo ti dà l’idea del possibile, spalanca finestre, trasmette speranza e, soprattutto, ti fa sentire parte di una comunità. Quindi è quella che cattura, riflette e genera in un circolo positivo, solidarietà, senso di appartenenza, sentimento prezioso in una società in cui forte è il “disancoramento” a istituzioni e valori condivisi.
Qual è per lei il ruolo dell’informazione sul benessere della società. Può il giornalismo rappresentare uno strumento per aumentare la fiducia e ridurre la conflittualità?
Come ho già detto, il giornalista che cerca e pubblica buone notizie, senza temere di passare per “sentimentale”, “romantico”, “sdolcinato”, “comicamente ottimista”, quindi superficiale, e senza preoccuparsi di andare controcorrente, cercando la notizia terrificante, piccante, succulenta – quella che stuzzica la curiosità e fa aumentare l’audience crea un potente circolo virtuoso. Penso che qualunque lettore, ogni tanto, senta il bisogno di staccare con news pruriginose, e di farsi accarezzare da notizie rasserenanti, capaci di trasmettere speranza. Questo non significa che il giornalista debba imbellettare la realtà. Sacrosanto resta il principio della realtà. Ma credo che possa avere un compito importante: fornire al lettore la capacità di intravedere nei fatti tragici elementi di positività. Spesso si assiste al contrario. Tanti i giornalisti che, guidati solo dall’audience, o dall’appartenenza a questo o a quel gruppo o personaggio politico, deformano e manipolano i fatti, veicolano notizie false, si concentrano solo su episodi di grande litigiosità. Pensiamo ai titoli sparati, che non aderiscono per niente ai pezzi, alle interviste che cavalcano rancore e disfattismo. Con quali effetti? Ci sentiamo ancora più arrabbiati. Il buon giornalismo è, al contrario, quello che non si limita a farti indignare, ma ti aiuta a fare pulizia nelle tue griglie mentali, nelle tue convinzioni. È quello capace di stemperare toni esagerati, che non ti inchioda al presente e ti fa immaginare un futuro diverso. Insomma, quello che ti fa fare pace, anche se per un tempo limitato, con il mondo.
Qual è il suo contributo per una buona informazione?
Dal 2011 vado a caccia di persone che non si arrendono. Sul sito di Democratica.com curo una rubrica che si chiama Tipi Tosti, dedicata a chi non molla, a chi, dopo una scivolata, non cerca capri espiatori, non scarica rancori su altri, ma si rimbocca le maniche e ci riprova. La mission è, appunto, cercare storie coinvolgenti, scintille di entusiasmo e resistenza al disfattismo dilagante. Il mio tipo tosto, sia chiaro, non è quello che riesce sempre, ma anche chi, consapevole dei propri limiti, non si abbandona al destino e si sforza di cercare una via d’uscita alle sue difficoltà. Premio lo sforzo.
Cosa vuol dire per lei vedere il bicchiere mezzo pieno?
Non pensare che la realtà si possa descrivere solo in un modo. Di ogni fatto vanno viste più angolature. “Non sempre le nuvole offuscano il cielo: a volte lo illuminano”, diceva Elsa Morante. I giornalisti dovrebbero sforzarsi di far capire ai lettori come questo possa succedere. Pensiamo alla notizia di un bambino che muore di una malattia rara. Il giornalista, che vede il bicchiere mezzopieno, è quello che cerca di capire anche che tipo di progressi stia facendo la ricerca scientifica nello studio di quella malattia. Così, per lasciare una fessura e far sperare. Il bicchiere mezzopieno è tipico di chi non si fissa sul presente, ma regala orizzonti.
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