per la campagna per la Parità di Informazione Positiva #mezzopieno
Giornalista, ha lavorato come autore televisivo, regista di documentari, autore di libri e videomaker. Ha fondato il giornale web, Terranauta e Il Cambiamento. Direttore editoriale di “Italia che cambia”, un progetto web per raccontare, mappare e mettere in rete coloro che stanno cambiando il nostro paese in modo etico, solidale, sostenibile e innovativo.
Qual è il ruolo dell’informazione sul benessere della società?
Secondo me potrebbe avere un ruolo fondamentale ma in questo momento l’informazione gioca piuttosto un ruolo sul malessere delle società, perché televisioni e grandi quotidiani hanno smarrito la funzione di quarto potere, di elemento di libertà e democrazia. Se io sono informato posso scegliere mentre se non sono informato, o lo sono in modo parziale, non sono libero di scegliere; e non parlo solo del voto ma di fissare le mie priorità
nel quotidiano, la mia agenda.
Dal mio punto di vista il principale problema nelle democrazie occidentali è proprio l’informazione e ancor di più l’immaginario che i media costruiscono, perché nel momento in cui guardi un telegiornale o leggi un giornale sei comunque attento mentre reality show, talk show e programmi a premi lavorano su piani diversi, sull’inconscio, sulla tua percezione del reale e ciò ha effetti ancor più devastanti.
Può il giornalismo rappresentare uno strumento per aumentare la fiducia e ridurre la conflittualità?
Assolutamente sì, e anche nei grandi giornali e media ci sono buoni giornalisti anche se il sistema tende a metterli da parte. Sul web e sulle radio ci sono ancora più opportunità di fare buon giornalismo.
Non credo che il giornalismo come io lo desidero debba dare buone notizie nel senso di ricercarle con il lanternino. Io credo che siano notizie tanto quelle tradizionali quanto quelle che vengono chiamate buone notizie. Sembra una differenza banale ma non lo è: altrimenti continuiamo a pensare che ci siano le notizie vere e proprie…e poi le good news. Faccio un esempio: se anche in un panorama di crisi economica tante aziende, mettendo al centro la sostenibilità sociale, ambientale e umana riescono ad assumere ecco che questa non è solo una buona notizia, ma una notizia vera e propria e perciò non deve andare a pagina 25 nella sezione buone notizie.
Io sono ovviamente favorevole al promuovere le buone notizie purché ciò non diventi una gabbia che ci costruiamo noi stessi. Un po’ come l’ambientalismo dove sembra che ci siano prima le cose importanti della
vita, e poi l’ambiente.
Cos’è per lei una buona notizia? Tre elementi essenziali di una buona notizia.
Premesso ciò che ho detto, e cioè che dobbiamo cercare di emanciparci dalla retorica della buona notizia come un qualcosa di nicchia, la buona notizia è qualcosa che mi rende felice, che mostra modi diversi e replicabili di affrontare i problemi. Qualcosa che mi spinge all’azione, oltre a darmi un sorriso.
Voglio partire dalla definizione di notizia: un fatto accaduto che le persone non conoscono e che può essere utile alla loro vita.
Detto ciò direi che i tre elementi essenziali che una buona notizia deve avere sono:
1) La pari dignità con le cosiddette notizie tradizionali. Vale a dire che deve rientrare nella definizione di notizia data sopra.
2) Positività: deve trasmettere al lettore la voglia di agire.
3) Replicabile: la buona notizia è in grado di mostrare un altro modello, di produrre un cambiamento, anche soltanto modificando l’immaginario.
Qual è il suo contributo per una buona informazione?
Ci siamo chiesti a lungo se le storie che raccontiamo a Italia che Cambia (www.italiachecambia.org) possano
essere considerate come buone notizie. Quando parlo in pubblico spesso la gente mi ringrazia per avergli trasmesso ottimismo. Dobbiamo però cercare di uscire dal recinto dell’ottimismo, il nostro – a Italia che cambia – è realismo. Noi testimoniamo le meraviglie che vediamo, si tratta di una semplice constatazione che il mondo è migliore di come lo pensiamo. In questo senso, non mostrare il lato bello del mondo diventa una vera e propria censura.
Io sono affamato di bellezza ma ad un certo punto del mio percorso mi sono accorto che la mia percezione dell’Italia e del mondo era devastante. Peraltro, sono molto sensibile ai temi ambientali e quindi mi informo ogni giorno su ciò che non funziona, perché è importante sapere che cosa non va per poterlo cambiare.
La denuncia da sola, però, non spinge le persone ad agire e perciò per combattere i problemi dobbiamo raccontare le storie di coloro che li stanno affrontando con successo, dobbiamo mostrare le buone pratiche. In questi anni il mio lavoro – che è partito come progetto personale ed ora coinvolge un gruppo di dieci persone – è stato proprio quello di mostrare che il cambiamento è possibile, sia a livello personale che sociale, politico, economico. Noi testimoniamo che è possibile rimboccarsi le maniche, poi sta al lettore decidere se vuole farlo o meno.
In questi anni abbiamo scoperto migliaia di realtà meravigliose che realizzano cose incredibili. Sapere che esistono ci dà la voglia di agire ma credo che il sistema politico, economico e mediatico non voglia che queste cose si sappiano. Non credo che sia un caso: se le persone non sanno che possono cambiare la propria vita non lo fanno, e quindi sono manipolabili. Non esiste democrazia senza informazione e credo purtroppo che in questo momento storico non ci sia democrazia. In questo senso fare giornalismo è una vera e propria missione che
riveste un forte significato politico.
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