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Giornalista, presentatore e autore di programmi televisivi. Ha creato tra gli altri il programma Radici su RaiTre, di cui è anche conduttore, in cui segue storie di emigrati risalendo insieme a loro nei loro Paesi di origine e alla loro storia. Realizza reportage per giornali, emittenti televisive e radio. Ha scritto, tra gli altri, L’informazione deviata (2002, Baldini & Castoldi) in cui svela alcuni nodi e forme dell’inganno dei mass media nell’era della globalizzazione ed indaga sulle possibili vie d’uscita della mistificazione dell’informazione attraverso gli interventi di giornalisti italiani e stranieri.
Qual è il ruolo dell’informazione sul benessere della società?
È un ruolo fondamentale, i media contribuiscono a orientare la visione del mondo e dell’opinione pubblica, una
volta si diceva a formare anche l’agenda dei politici. Quindi è chiaro che nel momento in cui l’informazione dei media guarda solo da una parte influenza solo in un modo la società e quindi anche il benessere della società. Quando l’informazione è completa e guarda anche alle buone notizie, guarda soprattutto a un modo corretto e positivo di raccontare quello che accade nella realtà e ciò sicuramente influisce, credo anche pesantemente, sul benessere della società.
Può il giornalismo rappresentare uno strumento per aumentare la fiducia e ridurre la conflittualità?
Assolutamente sì. È chiaro che nel momento in cui il ruolo dell’informazione è anche quello di influire sul benessere della società, il giornalismo può aiutare ad aumentare la fiducia e quindi anche a ridurre la conflittualità fra le persone, fra i gruppi sociali. Questo è sicuro.
Cos’è per lei una buona notizia? Tre elementi essenziali di una buona notizia?
Per me è una buona notizia non è necessariamente una notizia buona, ma è una notizia raccontata bene.
Secondo me il primo elemento essenziale è che quella notizia deve essere vera. Lo so che sembra un po’ banale, però soprattutto in tempi di social media, di fake news, credo che il fatto che una notizia sia vera non è così marginale. Anzi, lo considero fondamentale. Ovviamente non basta e arriviamo al secondo elemento essenziale di una buona notizia, che secondo me è che quella notizia deve essere anche raccontata bene. Penso che
l’estetica, la forma, non va mai separata dal contenuto, penso che per raggiungere un pubblico il più possibile largo bisogna anche far sì che le notizie raccontate, scritte, in tv, siano fruibili e allora devono essere raccontate bene.
Il terzo elemento di una buona notizia è che quella notizia deve essere raccontata anche con uno spirito positivo. Mi viene in mente il recente caso di cronaca della coppia che è stata attaccata nella notte e torturata, alla moglie è stato tagliato il lobo dell’orecchio. Mi ha colpito che un paio di giorni dopo questo attacco violento, brutale, l’uomo ha detto: “Io una pistola non la voglio, perché so che comunque non avrei fatto nulla, non mi sarei difeso, non sarei stato in grado di utilizzarla e se l’avessi utilizzata avrei fatto dei danni. Ecco, il fatto che nonostante l’aria che tira ci sia stato chi abbia raccontato questa notizia vera – nel senso che l’ha detto lui – sia una buona notizia, cioè sia una notizia importante che va raccontata e che dà anche un elemento di speranza rispetto a una situazione che purtroppo tanto bella non è, cioè la fiducia nello Stato, nelle forze dell’ordine e soprattutto il non voler precipitare in un clima da far west nonostante quello che ha vissuto questa persona. Questo per me è un esempio di quella che dovrebbe essere una buona notizia.
Qual è il suo contributo per una buona informazione?
Il mio contributo, credo, si concretizza prima di tutto nel modo in cui tento di svolgere il mio lavoro, ovvero l’impegno e l’attenzione che ci metto, il tempo e la testa che gli dedico. Concretamente, è brutto citarsi però la domanda mi obbliga e non so come uscirne diversamente. Io “Radici” l’ho pensato esattamente in questo modo: dopo aver passato anni a non sentire informazione su tutto quello che è Estero e in particolare quello che una volta si chiamava il Sud del mondo e dopo aver anche tentato faticosamente di fare qualcosa perché un po’ di notizie uscissero, l’idea di “Radici” mi è venuta esattamente per raccontare quei luoghi ma non raccontarli a senso unico, cioè non andare solo a raccontarli come spesso si fa perché ci sono guerre, fame o comunque situazioni negative e raccontarli prima di tutto con gli occhi di chi ci è nato e li ha vissuti e quindi li conosce meglio di noi, ma anche con l’atteggiamento positivo di chi ha un origine in un paese altro dal nostro, ama il suo paese la sua terra, poi magari lo critica o vede male certe situazioni, però tutto a partire da un amore, una passione per la propria terra. Ecco l’idea di “Radici” mi è venuta per dare una prospettiva, uno sguardo diverso al
pubblico italiano rispetto a paesi di cui le poche volte in cui se ne parla si hanno testimonianze e racconti di situazioni tragiche. Questo è quello che mi trovo fare io oggi, però credo che sia importante che ognuno di noi nel suo mestiere prima di tutto tenti di mettere un atteggiamento, uno sguardo, un modo di vedere le cose in quello che fa.
Io mi sono trovato a lavorare nel settore dei viaggi e degli Esteri e non potevo che sviluppare un’idea che riguardasse questi ambiti ma fare un buon giornalismo è compito dei professionisti di tutti i settori dell’informazione. C’è chi lo fa nel giornalismo sportivo, chi nella cronaca nera, chi nel meteo o negli Interni.
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