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Giornalista e scrittrice. Inviata stampa nelle grandi emergenze e reporter nei paesi in via di sviluppo, scrive di temi sociali e internazionali. Ha fondato la rivista B-Hop Magazine, una testata che integra i temi della crescita interiore e consapevolezza all’azione sociale e culturale. Ha scritto, tra gli altri, “L’ era della consapevolezza. La responsabilità indiretta: un nuovo principio per cambiare il mondo” (Messaggero Padova, 2010) e “Comunicare ed essere informati: la vera globalità (Progetto Continenti, 2001).
Qual è per lei il ruolo dell’informazione sul benessere della società?
È una domanda un po’ generica che richiederebbe una analisi lunga e complessa. In linea teorica è auspicabile che l’informazione contribuisca al benessere e alla crescita culturale della società, alla denuncia delle ingiustizie perché vengano sanate, alla possibilità di ricevere notizie di servizio utili alla vita quotidiana. Ma per come è strutturato ora il sistema mediatico è di difficile applicazione pratica, perché i mondi della notizia sono tanti: si va dalla cronaca, al giornalismo d’inchiesta, ai reportage, alle analisi, alle storie di vita e a seconda della linea editoriale della testata l’informazione può permettersi di essere più o meno orientata al benessere della società. Mi spiego con esempi molto semplici: se io scrivo su testate che hanno una linea editoriale fondata su un sistema di valori e ideali o improntate al giornalismo costruttivo è molto facile enfatizzare le notizie positive e non indulgere su quelle drammatiche, negative o tossiche. Ma se scrivo su una testata generalista mainstream che deve vendere copie o attirare clic per produrre utili e pagare gli stipendi ai dipendenti è molto più complesso,
perché si entra nella logica della competizione a cui non ci si può sottrarre in un mondo dominato dall’economia neoliberista. Tutti sappiamo che il pathos emotivo creato dalle notizie caratterizzata dalla malaugurata legge delle tre S “Sesso, sangue e soldi” – e aggiungerei personalmente la P di Polemica – è ciò che tira e paga di più e quando ci si occupa di cronaca non si può prescindere da ciò che accade. Però la spirale tossica inarrestabile può essere equilibrata in qualche modo da scelte editoriali sensate, tenendo sempre conto che se il giornale non vende chiude. Per questo preferisco che il lettore scelga e sappia dove trovare notizie che gli procurano benessere.
Cos’è per lei una buona notizia?
Non è sicuramente una notizia melensa, moralistica e “buonista” nell’accezione negativa del termine (anche se, per come viene usato di questi tempi, per me è un complimento). Non mi piace dividere il mondo in buoni e cattivi, ogni persona e ogni situazione presenta sempre luci e ombre. Per me rappresenta un approccio alla notizia che mette in evidenza la possibilità di costruire anziché distruggere, di resistere ed essere resilienti anziché indulgere nel ruolo di vittime, di trovare soluzioni per superare le crisi anziché desistere. Anche se, per quanto mi riguarda, preferisco parlare e diffondere “belle notizie”.
Può il giornalismo rappresentare uno strumento per aumentare la fiducia e ridurre la conflittualità?
Senz’altro. Sia per migliorare la fiducia in sé stessi, sia per creare un clima di dialogo nella società, tra parti sociali, tra contendenti nei conflitti. Ma bisogna saper usare bene le parole, presentare i problemi e le situazioni contestualizzando e usando cautele, trattando con cura e senza superficialità le proprie fonti, altrimenti si rischia di fare guai. Le parole possono uccidere o sanare. Un buon giornalismo non si improvvisa.
Qual è il suo contributo per una buona informazione?
Lavoro da anni all’agenzia Sir (www.agensir.it) e mi occupo di migranti, temi sociali e internazionali, povertà. Ho viaggiato in circa 60 Paesi coprendo importanti fatti di cronaca internazionale e non sempre erano buone notizie, spesso erano gravi emergenze, catastrofi, conflitti o campi profughi. Però cerco sempre di approcciare le storie che racconto lasciando aperta la porta della speranza. Lo stesso nei libri che scrivo. Nel 2014, per dare fiducia alle persone in un periodo di piena crisi, ho fondato, insieme ad un gruppo di co-founder (siamo tutti volontari), il magazine B-hop (www.b-hop.it): una testata on line ad altissima percentuale di belle notizie, che integra i temi della crescita interiore e consapevolezza all’azione sociale e culturale. Lo scorso anno siamo
diventati associazione di promozione sociale e proponiamo anche eventi, tra cui corsi di giornalismo costruttivo.
Cosa vuol dire per lei vedere il bicchiere mezzo pieno?
Una visione ottimistica della realtà. Sperando che due mezzi pieni facciano un pieno.
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