per la campagna per la Parità di Informazione Positiva #mezzopieno
Giornalista professionista freelance, scrive su diverse testate tra cui Periodici San Paolo, Avvenire, Madre, Città Nuova online con una particolare attenzione ai temi sociali, ambientali, economici e di spiritualità ed una continua ricerca della bellezza. Ideatrice del blog “il MAGIScopio”. Presidente dell’UCSI Friuli Venezia Giulia. Ha conseguito diversi riconoscimenti giornalistici nazionali.
Qual è per lei il ruolo dell’informazione sul benessere della società?
L’informazione ha un ruolo fondamentale, per me ha una missione nel contribuire al benessere sociale perché sono convinta che le parole che noi utilizziamo per raccontare la realtà non solo aiutano a narrarla ma, di fatto, la costruiscono. Per creare un benessere diffuso, che vada al di là della questione meramente economica e
materialistica, è importante raccontare la realtà con verità, con continenza, evitando parole o espressioni che non aggiungono nulla se non paura o angoscia al lettore e pensando che chi leggerà ciò che scriviamo è una persona che si nutrirà delle nostre parole e ne ricaverà, a sua volta, un vissuto personale.
Cos’è per lei una buona notizia?
Innanzitutto, è un atteggiamento e un metodo di lavoro. Per me ha a che fare con lo sguardo con cui osservo e capto la realtà che mi circonda e le situazioni e le persone che vado ad incontrare per lavoro. Questo sguardo credo che sia quello che mi permette di cogliere la bellezza in situazioni che sono apparentemente solo negative, che non significa edulcorare la realtà ma avere la possibilità di vedere oltre, offrendo assieme alla notizia anche una prospettiva di soluzione, una via per affrontare una situazione o per creare una coesione piuttosto che una divisione.
Può il giornalismo rappresentare uno strumento per aumentare la fiducia e ridurre la conflittualità?
Assolutamente sì, ne sono convinta. Sono per un giornalismo che sia strumento di armonizzazione a scapito dei titoloni o degli scoop fatti sulla pelle delle persone. Credo in un giornalismo che si prenda il tempo, che sempre meno è a disposizione sebbene sia importantissimo, per capire, incontrare, approfondire, scegliere le parole più appropriate per narrare. In questo senso credo che sia uno strumento per costruire ponti e non muri, come
suggerisce anche la Carta di Assisi. Fare un giornalismo che denuncia quando c’è bisogno di denunciare ma che si sforzi sempre di offrire degli scenari di speranza possibili. Questo ha bisogno di grandi energie e una buona dose di pazienza sia per chi lo voglia praticare, sia per chi ne voglia vedere i risultati.
Qual è il suo contributo per una buona informazione?
Credo che questa domanda abbia due implicazioni: quanto effettivamente il mio contributo possa influire nel giornalismo e quanto io cerco di mettere nel mio lavoro. Mi considero una giornalista normale che cerca di fare del suo meglio nel suo piccolo e per quanto riguarda il primo punto non credo che tocchi a me quantificarlo, come con l’uso del lievito: il tempo che ci vuole è il tempo che richiede la lievitazione, non sarò io probabilmente a vederne gli effetti. Spero che ne abbia. Guardando invece a quello che mi impegno a fare quotidianamente, allora, nel mio piccolo, nelle possibilità che mi vengono date di scrivere, ci metto sempre un ascolto attento, uno sguardo aperto e curioso, e la fiducia nella possibilità che guardando nel piccolo, nella periferia, in tutto ciò che non è urlato, che rimane nascosto in realtà si sveli la parte più preziosa da raccontare, quella più importante da mettere in luce.
Cosa vuol dire per lei vedere il bicchiere mezzo pieno?
È una prospettiva di vita. È quella consapevolezza, per me molto importante, di sentirsi amati e custoditi e quindi di filtrare ogni situazione e ogni circostanza che noi incontriamo con la lente della gratitudine.
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