per la campagna per la Parità di Informazione Positiva #mezzopieno
Giornalista professionista freelance, si occupa di temi sociali e ambientali. È stata responsabile dell’ufficio stampa di Marevivo, ha collaborato con Redattore Sociale, La Stampa e Il Fatto Quotidiano. Attualmente è social media manager a Rai Radio 1 e cura la comunicazione del consorzio universitario CURSA e dell’associazione Casa al Plurale.
Cos’è per lei una buona notizia?
Non rinnegando la regola “bad news is a good news”, ritengo che la buona notizia è quella notizia che illumina il lavoro della società civile o che descrive la forza, spesso anche quotidiana, di chi sa fare bene nel mondo. Oggi è sempre più necessaria nell’agenda setting dei media. Un esempio: la buona notizia non è tanto la good news melensa come “Studenti di Vibo Valentia creano e distribuiscono gratis gel igienizzante”, molto comune nella prima ondata della pandemia, quando scarseggiavano i disinfettanti per le mani. Ma piuttosto il racconto di come sia stato possibile questo risultato: dietro questi studenti c’era un modello particolare di apprendimento, dei dirigenti scolastici con un modo diverso di vedere le cose?
Qual è per lei il ruolo dell’informazione nel benessere della società?
Pochi giorni fa è scomparso un monumento del giornalismo italiano, Sergio Lepri: una delle sue lezioni era racchiusa nella frase “i giornalisti hanno il compito di tutelare, con il loro lavoro, la democrazia e la libertà”. Se l’informazione è fatta bene, contribuisce a liberare dai pregiudizi, ad avanzare nella richiesta di maggiori diritti; viceversa, se l’informazione è distorta o anche solo fatta con superficialità, contribuisce ad avvelenare la società.
Può il giornalismo rappresentare uno strumento per aumentare la fiducia e ridurre la conflittualità?
Sì, ritengo di sì, il giornalismo è un servizio, non un semplice prodotto e pertanto può aiutare a convivere meglio nella comunità e ad infondere fiducia. Penso ad esempio a quello che doveva essere la comunicazione tra scienziati e cittadini durante il Covid con la mediazione dei giornalisti e che, invece, si è rivelata la cartina tornasole dell’attuale stato della gran parte dell’informazione italiana attuale: un flusso di conflittualità che si autoalimenta ed esaspera i contrasti, anche solo per sopravvivere.
Qual è il suo contributo per una buona informazione?
Sono una giornalista professionista freelance che si occupa da sempre di sociale e ambiente, con la passione ‘classica’ di chi ci crede, ma usando i linguaggi contemporanei del digitale e dei social network. Innanzitutto, in ogni mio lavoro, mi alleno ad ascoltare, rifuggo dall’istantismo, pur facendo anche la social media manager. Ad esempio per Radio1 Rai mi sono inventata il format Social(è), in cui viene raccontata una storia che tiene insieme le due dimensioni, il “social” e il “sociale” mettendo in evidenza buone prassi, ma anche denunciando problemi.
Contro il mito delle notizie aggiornate a flusso continuo, per un giornalismo di qualità, cerco di mettere in pratica ogni giorno i principi del Manifesto di “Slow News”, per cui ho scritto da poco la serie sulla disabilità “Fine quarantena mai”.
Cosa vuol dire per lei vedere il bicchiere mezzo pieno?
Significa essenzialmente non rassegnarmi ad un racconto di abusi, delitti, conflitti, polemiche. C’è un mio caro amico che, davanti al bicchiere di vino, mi dice sempre: “non importa se sia mezzo pieno o mezzo vuoto, l’importante è che sia buono”: ecco quando posso, se posso, io cerco il buono, non nell’accezione moralistica, ma semplicemente come modo di leggere la realtà.
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