per la campagna per la Parità di Informazione Positiva #mezzopieno
Docente presso il Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” dell’Università di Torino, è impegnato nell’indagine sull’antropologia nel mondo della comunicazione. Si occupa di ricerche in ambito urbano con particolare attenzione al tema della migrazione interna in Italia. Dal 2018 collabora con l’edizione torinese del Corriere della Sera.
Cos’è per lei una buona notizia?
È una notizia scritta bene e con questo non intendo tanto l’oggetto della notizia in sé, ma il modo di raccontarla: puoi raccontare una buona notizia male, o una brutta notizia bene. La buona notizia è quindi collegata al contesto, non è mai solo la restituzione del fatto in modo oggettivo, ma la sua contestualizzazione e il suo approfondimento. I contenuti diventano quindi utili al lettore e creano un valore aggiunto. Un buon giornalismo dovrebbe fare questo, secondo me.
Qual è per lei il ruolo dell’informazione nel benessere della società?
Siamo in una società iperinformata e questo crea una serie di paradossi. Stiamo vivendo l’epoca storica in cui, in assoluto, siamo più informati, anzi siamo «iper informati»: notizie di ogni genere e natura ci scorrono davanti incessantemente, alcune mediate dal linguaggio giornalistico, altre no. Siamo saturi e dipendenti dagli aggiornamenti, quasi come se l’atto di informarci fosse diventato un nuovo riflesso incondizionato. Pensiamo alla pandemia prima, ora sostituita quasi in toto dalla guerra: il costante aggiornamento crea curiosità, ma anche una dipendenza poco sana. Io credo che il ruolo di un buon giornalismo è quello di rallentare questo flusso costante e dare ordine ai fatti, permettendo la lettura e l’assimilazione delle informazioni da parte del pubblico. L’aggiornamento in tempo reale purtroppo non serve a molto, mentre è molto più utile sforzarsi di unire i fili: questo, a parer mio, dà benessere alle persone.
Può il giornalismo rappresentare uno strumento per aumentare la fiducia e ridurre la conflittualità?
Pensiamo per un attimo al momento che stiamo vivendo ora, con questa nuova guerra in corso. Succede che il giornalismo diventi autoreferenziale: tutte le testate, cartacee o televisive, trattano più o meno sempre gli stessi argomenti, creando quasi un unico focus, un’unica agenda dell’informazione. Questa agenda è basata sulla concorrenza e le testate tengono costantemente sott’occhio i loro competitor più prossimi: il risultato sono contenuti molto simili fra di loro. Al di la delle posizioni che si possono avere sul fenomeno in sé, quello che si vede è un’informazione molto standardizzata che schiaccia le differenti posizioni. Questo sì, porta un aumento della conflittualità. Il compito di un buon giornalismo è quello di avere il coraggio di proporre idee e punti di vista diversi, senza sottostare a una sola linea editoriale. Il giornalismo ragionato dovrebbe introdurre dubbi nel lettore, soprattutto per combattere la tendenza della «bolla dei social», per la quale alla fine interagisci spesso solo con persone che la pensano in modo simile a te.
Qual è il suo contributo per una buona informazione?
Il taglio che cerco di dare alle cose che scrivo non è mai appiattito solo sul presente, ma cerco di dare una lettura storica e allargata dei fenomeni che tratto, collegandoli poi in chiave interpretativa al qui e ora. Non scrivendo di cronaca – che viceversa richiede molta più immediatezza ed è collegata al presente – ho la possibilità di approfondire, facendo il più possibile giornalismo di ricerca, raccontando fatti che vadano oltre il quotidiano e che promuovano riflessione.
Cosa vuol dire per lei vedere il bicchiere mezzo pieno?
Penso che dal punto di vista giornalistico voglia dire non assecondare «la pancia» e andare contro l’idea dello scrivere per acchiappare click. Vuol dire cercare di cambiare strada, trovare alternative, non prendere le vie principale che scelgono tutti. Lì trovi il bicchiere Mezzopieno. Uscendo dai sentieri già battuti si trovano le cose più interessanti: dobbiamo abituarci a buttare lo sguardo dove normalmente non guardiamo, dove si trovano quelle storie interessanti che fanno parte del bicchiere Mezzopieno. Quelle sono storie che non vedrai mai se corri nel flusso di informazioni principale. Anche essere vicini al territorio, fare del buon giornalismo alla vecchia maniera è, a parer mio, contribuire a rendere il bicchiere mezzo pieno.
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