Editoriale
Quanti di voi hanno sperimentato la sensazione di profondo benessere che si prova nell’attraversare luoghi aperti come una montagna o una spiaggia? Il nostro corpo ha bisogno di spazio per esprimere il suo potenziale, sotto forma di movimento. Eppure decidiamo sempre più spesso di fare della vita una prigione di oggetti ai quali leghiamo la nostra stessa identità. Nella rincorsa costante verso l’avere, dimentichiamo di coltivare la dimensione dell’essere, di godere di quello che c’è, presupposto essenziale per una vita felice.
Un nativo americano possedeva all’incirca dodici oggetti, tutto ciò che poteva trasportare con sé. In un tempo dove quello che possediamo è diventato sinonimo della nostra realizzazione, tante persone intorno a noi hanno deciso di ridurre per avere di più. Parole come sobrietà, decrescita e minimalismo sono guardate con sospetto da chi le associa a rinunce e privazioni ma vengono abbracciate con entusiasmo da quanti ne comprendono il significato profondo. Il sollievo che proviamo nel lasciare andare il superfluo è la misura di quanto ci siamo allontanati dall’essenza della vita, dalla sua semplicità. Eppure solo levando ciò che è di troppo possiamo giungere fino alla polpa.
Che cosa, dunque, sareste disposti a lasciar andare pur di vivere un’esistenza più piena? Quando entriamo in una dimensione di abbondanza smettiamo di preoccuparci per ciò che manca e impariamo ad affidarci alla vita, sapendo che ciò di cui abbiamo bisogno arriverà al momento giusto. Se l’essenziale è davvero invisibile agli occhi, certamente non potremo trovarlo nella vetrina di un negozio o acquistarlo sulle piattaforme on line. Prendiamo atto che il nostro corpo vale più del vestito e celebriamone la sua forza e la sua fragilità, la sua intelligenza in tutte le sue espressioni.
Per recuperare un senso di sazietà, in antitesi alla bulimia che segna le nostre scelte di consumatori moderni, occorre accontentarsi, dal latino continere: segnare un confine al nostro desiderio è necessario per evitare che esso naufraghi in un mare di insoddisfazione. Senza un limite alla bramosia, non può esistere la felicità. Se vi state chiedendo perché ne valga la pena, rileggete alcune pagine dal Walden di Henry David Thoreau: “andai nei boschi perché volevo vivere in profondità, volevo vivere con saggezza. Per succhiare tutto il midollo della vita e allontanare da me tutto ciò che non era vita e per non accorgermi, in punto di morte che non ero vissuto”.
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Diego Mariani
Movimento Mezzopieno
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