Editoriale
Scrivo questo editoriale nel momento in cui il mondo riprende a spostarsi dopo due anni di immobilità forzata. E lo fa con foga, con il senso di rivalsa che segue ai momenti bui. Con l’arrivo dell’estate, l’occidente si è affrettato a prenotare le vacanze in mete lontane, con l’effetto di intasare gli scali e bloccare il traffico aereo ancora arrugginito dalla pandemia. Sembra impossibile, oggi, immaginare le nostre vacanze senza salire su un aereo che ci trasporta ad altre latitudini in un batter di ciglia. Eppure viaggiare è soprattutto un’attitudine, una disposizione dell’animo di chi, con curiosità e rispetto, si mette per strada. Ecco, la strada. L’unico modo di viaggiare che era possibile immaginare fino alla metà del ‘900, l’attraversamento di uno spazio fisico che diventa paesaggio interiore, ammesso che ci concediamo il tempo di percorrerlo. Per viaggiare davvero, dunque, viene richiesto di farci viandanti, di percorrere strade, sentieri e piste con sguardo attento e curioso. Solo allora il mondo appare nella sua straordinaria varietà e bellezza. Quanto più rallentiamo tanto più possiamo cogliere dettagli inediti, riservati ai pochi che hanno il coraggio di osservarli. E allora recuperare il viaggio a piedi, seppure per lo spazio di pochi metri, è una scelta rivoluzionaria e ricca di possibilità. Perché la mappa, si dice, non è il territorio. E soltanto chi si mette in cammino ne fa esperienza in modo totale.
Vi auguro dunque di scoprire strade non battute, di trovare la curiosità per viaggiare in modi che siano nuovi e antichi allo stesso tempo. Di avere il coraggio di rallentare, fino quasi a fermarvi, perché la meta più sorprendente potrebbe non essere quella più lontana. Che il vostro viaggiare diventi un atteggiamento, una postura che siete capaci di mantenere di fronte a qualsiasi tragitto, anche il più quotidiano. Sfidate voi stessi a scoprire la meraviglia della realtà che avete intorno, un passo dopo l’altro, senza fretta. Percorrete i sentieri del mondo con lo sguardo stupito di una bambina, come a osservare la realtà per la prima volta. In questo modo potrete andare molto lontano pur rimanendo fermi, attraversare il mondo intero osservandolo con riverenza.
Mentre il turista attraversa, il viaggiatore si sofferma. Indaga. Incontra un luogo nelle parole delle persone che lo abitano. Il vero viaggio diventa relazione. Significa prendersi del tempo per avvicinarsi, aprire un dialogo con i luoghi e chi li abita. Lasciarsi modificare da essi in una danza generativa che modifica e informa la realtà circostante. Soltanto chi ritorna a casa diverso da come è partito può dire di avere viaggiato.
Il viaggio diventi un’occasione per cambiare le nostre abitudini, uscire dalla zona di comfort e sperimentare nuove versioni di noi stessi. Per immaginare come saremmo stati se fossimo nati in un altro luogo, in climi e paesaggi diversi da quelli che chiamiamo casa. Per fantasticare su come avremmo pensato al mondo se fossimo nati in un altro tempo. Un tempo in cui viaggiare lentamente era la norma. In cui intraprendere un cammino significava rischiare, mettersi in gioco. Quando spostarsi era necessità più che divertimento. Esplorazione prima che comfort. Solo con questo gioco dell’immaginazione potremo incamminarci su sentieri inesplorati. Certamente non volare ma sì, viaggiare.
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Diego Mariani
Foto di Elena Smuveva
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