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GIANGIACOMO SCHIAVI

per la campagna per la Parità di Informazione Positiva #mezzopieno

Giornalista, già capo cronista e poi Vicedirettore del Corriere. Nella direzione della cronaca milanese è da sempre impegnato in prima persona in campagne civiche e in rubriche di strada che analizzano e danno voce ai cittadini e all’impegno civile e sociale. Tra i fondatori dell’inserto Buone Notizie del Corriere della Sera. Da marzo 2018 firma la rubrica Buone Notizie sul mensile di strada Scarp de’ tenis. Ha pubblicato diversi libri tra cui ‘Meno male. Storie di piccoli eroi che trasformano il mondo’ (2018 Sperling & Kupfer) e ‘Buone notizie: Storie di un’Italia controcorrente nelle pagine del Corriere’ (2014, Corriere della Sera ed).


 

Cos’è per lei una buona notizia?

É riuscire a dar voce e spazio a qualcuno che non si arrende, che ha il coraggio di fare e di cambiare le cose, che ogni giorno cerca di uscire dal buio delle tante cattiverie che ci circondano e sa avvicinarci alla nostra umanità. Può essere una storia che insegna qualcosa e diventa un esempio, una notizia costruttiva. Bisogna però cercarle le buone notizie, e poi creare uno spazio per una narrazione alternativa a quella a cui sono abituati giornali e tv. Il sistema dei media è strabico, guarda solo da una parte. Resiste ancora la convinzione che ‘il bene non fa notizia’, perché è la normalità, mentre il male rappresenta l’eccezione e quindi è più “racconto”. Non dobbiamo creare un conflitto fra notizie, ma evitare di andare a senso unico, anche perché oggi il male, tra guerre, raid, vendette, femminicidi, sembra diventato la normalità. Una sorta di blocco ha compresso per anni le storie del bene, meno male che oggi si rivalutano le buone notizie.

 

Qual è per lei il ruolo dell’informazione nel benessere della società?

L’informazione può essere un antidoto per tante solitudini e questo è un ruolo importante, perché dà voce a chi non ce l’ha. Questo principio rende il mestiere del giornalista il più bello del mondo: abdicare a questa regola vuol dire essere impiegati della notizia, sostituibili dall’intelligenza artificiale. In una società smarrita il ruolo dell’informazione è fondamentale per difendere i diritti dei più deboli e le libere opinioni, smontare le fake news e presidiare la democrazia.
Oggi c’è un’inflazione di notizie, una invasione comunicativa che necessita di interpretazione, di ascolto diretto, di sapersi mettere nei panni degli altri. Certe situazioni bisognerebbe viverle per poterle raccontare. Ettore Mo, grande inviato del Corriere, ha passato due mesi con i mujahidin in Afghanistan prima di poter scrivere un fantastico reportage.

 

Può il giornalismo rappresentare uno strumento per aumentare la fiducia e ridurre la conflittualità?

Senza caricare il giornalismo di significati esagerati o che non ha, penso che chi scrive o fa televisione o web debba ispirarsi ad un concetto: essere utile. E può farlo in tanti modi: riportando con onestà i fatti, cercando altre verità rispetto a quelle ufficiali, attivare il dubbio provocato dalle domande scomode. Ma non siamo né politici né sindacalisti: si tratta di fare onestamente il mestiere, sapendo che un certo modo di fare giornalismo aiuta a creare una società più responsabile e ad innalzare il nostro senso civico.

 

Qual è il suo contributo per una buona informazione?

Non ci si deve giudicare: ognuno di noi ha un suo metodo, un suo codice. Enzo Biagi diceva che senza una morale non si racconta niente. Condivido. Credo che il giornalismo oggi chieda di essere più vicini ai fatti, e questi possono accadere a Kiev o nel condominio dietro l’angolo. E’ necessario rompere qualche schema consolidato, non essere prigionieri del computer in redazione. Quando ero capo cronista mi sono posto un interrogativo: dobbiamo essere solo dei riportatori di notizie o certe notizie le possiamo stimolare noi? Così nel 1998 è nata la campagna “Adotta una strada” per aiutare i cittadini volenterosi che volevano tener in ordine e pulito il loro quartiere. Qualche tempo dopo abbiamo avuto l’idea rendere meno triste il Natale di tante persone sole a Milano con una sottoscrizione intitolata “Buon Natale anziani”: in collaborazione con i Servizi sociali del Comune abbiamo fatto una mappatura dei bisogni e i nostri cronisti si sono presentati nelle loro case con la richiesta esaudita: dal frigorifero al paio di occhiali, dal nuovo ferro da stiro alla lavatrice… I lettori ci hanno sostenuto e per noi è stato un modo di rendere il giornale davvero utile. Nel 2006 ci siamo messi in viaggio per i quartieri di Milano con un camper: tutta la Cronaca ha partecipato a un’avventura straordinaria, 24 puntate attraverso periferie e luoghi storici di Milano, per raccogliere problemi, segnalare che cosa funziona e che cosa non va, invitare assessori e dirigenti comunali a dialogare direttamente con i cittadini. Ne è uscito un quadro di Milano diverso dalle solite rappresentazioni, smentendo molti luoghi comuni, trovando un orgoglio identitario che meritava di essere raccontato. Non siamo stati teneri con il Comune, ma l’onesta del lavoro fatto ha avuto un premio: l’Ambrogino d’oro. Poi sono arrivate le Buone notizie in prima pagina sul Corriere. Era il 2013 e la prima storia pubblicata risponde a tutto quello che ci siamo detti prima. E’ quella che ho intitolato “L’angelo invisibile di Milano”.. Un signore che mi telefonava ogni volta che leggeva una storia di disagio, di povertà, di emarginazione e poi interveniva direttamente con un sostegno economico, a volte per cancellare i debiti, altre per garantire gli studi a ragazzi senza mezzi, altre ancora per trovare un alloggio a famiglie sfrattate che dormivano in auto. Appariva, aiutava e scompariva. Se non è una Buona notizia questa… L’ho scritta ed è finita in prima pagina. Il giorno dopo mi telefonò preoccupato dicendo che gli aveva cambiato la vita, anche se era rimasto anonimo. In effetti ci fu un clamore pazzesco, anche sui giornali stranieri. E lui decise di fare una Fondazione per aiutare i bisognosi. La chiamò: Condividere.

 

Cosa vuol dire per lei vedere il bicchiere mezzo pieno?

Per prima cosa, che non bisogna sottovalutare il bicchiere mezzo vuoto. Poi che si deve guardare da entrambi i lati. Ci sono tante positività da raccontare e sono queste che ci aiutano a riempire quella parte di bicchiere, senza farlo tracimare. Tra i tanti guai che si assillano ci sono persone speciali che diffondono fiducia e ottimismo: il bicchiere mezzo pieno sono loro. Se non ci fossero saremmo già finiti, naufragati. Vedere tutto questo, sapere che esistono persone intorno a noi che trasmettono positività e non si fermano al lamento del bicchiere mezzo vuoto, vuol dire camminare nel futuro.

 


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© MEZZOPIENO NEWS | TESTATA REG. TRIB. TORINO 19-24/07/2015
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