I 9 sutra sulla pace
I sutra sono fili di un’unica collana. Insieme formano il gioiello chiamato Pace
- La pace è partecipazione all’armonia del ritmo dell’Essere
La pace non significa assenza di forze o di polarità, non è statica, né dinamica, non altera il ritmo della realtà. Non è nemmeno un movimento dialettico. L’Essere è ritmico, è ritmo, integrazione a-dualista del movimento e del riposo. La cultura tecnocratica coltivando l’accelerazione ha sconvolto i ritmi naturali: è senza pace.
- È difficile vivere senza pace esterna; impossibile senza pace interna
Ogni giorno migliaia di persone sono vittime della guerra. In tutto il mondo vi sono milioni di profughi, bambini abbandonati nelle strade e persone che muoiono di fame. Non si deve minimizzare questa degradazione umana della nostra razza. Ma se la pace interna sussiste c’è ancora speranza.
La pace è più che un’essenza di conflitti armati. Non si può godere di una pace interna se il nostro ambiente umano ed ecologico è vittima di violenze e di ingiustizie; in questo caso la pace interna è un’illusione. Nessun autentico saggio (da Buddha a Cristo) si rinchiude nell’egoismo e nell’autosufficienza.
- La pace è un dono non una conquista
Non si combatte per la pace; si combatte per i propri diritti o, eventualmente, per la giustizia, ma mai per la pace. E’ una contraddizione. Noi accettiamo la pace come un dono, ma il dono della pace non è un giocattolo. È una spinta, una aspirazione. La pace non è una condizione pre-confezionata.
La natura della pace è grazia. Noi scopriamo la pace: è una scoperta non una conquista. È frutto di una rivelazione: possiamo sperimentarla come la rivelazione dell’amore, della bellezza della realtà, di Dio, dell’esistenza della provvidenza, di un significato nascosto, dell’armonia dell’essere o della bontà della creazione, della speranza, della giustizia o anche dell’amore puro di chi ama.
La pace deve essere continuamente nutrita e persino creata. La pace si ricrea ogni volta.
- La vittoria ottenuta con la sconfitta non conduce mai alla pace
La maggior parte delle guerre ha trovato giustificazione come risposta a trattati di pace anteriori. I vinti riappaiono ed esigono ciò che è stato loro negato. La stessa repressione del male non può portare risultati durevoli perché nessuna vittoria ha mai portato una vera pace.
La pace non è mai il risultato del bene contro il male. Il giovane rabbino di Nazaret invitava a far crescere insieme grano e zizzania. La pace fugge il campo dei vittoriosi. La vittoria non è mai nei confronti del male ma è sempre sulle persone; ma le persone non sono mai assolutamente cattive.
- Il disarmo militare richiede un disarmo culturale
Dobbiamo disarmare le nostre rispettive culture insieme con l’eliminazione delle armi. Le nostre culture sono spesso bellicose, trattano gli altri come nemici, come barbari, selvaggi, primitivi, pagani, non credenti, intolleranti e così via.
Disarmo culturale non significa voler tornare alla vita primitiva ma presuppone una critica della cultura non solo alla luce di ciò che non è andato bene ma anche nella prospettiva di un approccio interculturale genuino.
Il disarmo culturale tuttavia è rischioso e difficile quanto quello militare. Rende vulnerabili.
- Nessuna cultura, religione o tradizione può risolvere isolatamente i problemi del nostro mondo
Oggi nessuna religione potrebbe fornire risposte universali ai problemi dell’umanità, senonaltro perché le domande non sono le stesse. Nel momento in cui gran parte delle religioni tradizionali tendono a deporre il manto dell’imperialismo, del colonialismo e dell’universalismo, la cosiddetta visione scientifica del mondo sembra raccogliere l’eredità culturale di questi atteggiamenti. Per questo bisognerebbe allargare lo sguardo che passi dal pluralismo. Il vero confronto può avvenire solamente attraverso un dialogo inter e intra-culturale.
- La pace appartiene all’ordine del mythos, non del logos
Shalom, pax, Eirene, salam, friede, shanti, pìng’ān: la pace è polisemica, ha numerosi significati. La mia nozione di pace può non essere pacifica per qualcun altro. La pace nasce dal logos ma non è sinonimo di pacifismo, è un mito, qualcosa in cui si crede in quanto dato. Non è irrazionale ma rende intelligibile l’atto di intendere.
Pace non vuole dire mantenere uno status quo rivelatosi ingiusto ma la sua trasformazione in un fluxus quo, un muoversi verso un’armonia cosmica sempre nuova. Tutto l’universo è coinvolto nella stessa avventura.
Il mito è quella dimensione di ineffabilità che non contraddice la ragione ma la supera. Compito del mito è liberare l’uomo dal delirio di onnipotenza, quello del logos indicare il confine dove comincia l’irrazionalità.
- La religione, via verso la pace
La religione è stata sempre considerata in passato come via di salvezza. Le religioni erano strumenti di pace interiore per i propri adepti e di guerre per gli altri. Oggi siamo testimoni di una trasformazione della nozione stessa di religione che rappresenta la via che in modi diversi può raggiungere quella pace che rimane uno dei pochi simboli universali. La strada per la pace è rivoluzionaria.
Un pensiero religioso è (ri)legante, accoglie le infinite complessità dell’essere e lavora in noi e tra noi, a (ri)congiungere ciò che è disperso, (ri)conoscendo l’oltre nel comune che ci lega.
- Perdono, riconciliazione e dialogo sono i soli a condurre alla pace
Punizione, indennizzo, restituzione, riparazione non portano alla pace. Credere che ristabilire l’ordine sconvolto risolva la situazione è un modo di pensare grossolano, meccanicistico e infantile. L’innocenza perduta esige la redenzione e non il sogno di un paradiso ritrovato. La via verso la pace è in avanti e non indietro.
La storia umana esige il perdono. Per perdonare ci vuole una forza che vada oltre l’ordine meccanico di azione-reazione, necessita dell’Amore, pilastro dell’universo.
Raimon Panikkar