Sa di altri tempi, parlare di gentilezza, un argomento che sembra riservato all’educazione dei bambini e alla vecchia nobiltà. Ma la cortesia è una risorsa un po’ dimenticata dalla silenziosa forza sovversiva.
In una società come la nostra in cui la libertà è spesso intesa come possibilità di esprimere la propria personalità e di ribellarsi a ciò che non si comprende, la moderazione e la delicatezza sembrano trovare sempre meno spazio. Se vigore e determinazione sono considerati valori vincenti per raggiungere efficacemente obiettivi sempre più competitivi, non significa tuttavia che si debba rinunciare a quella che è probabilmente la qualità più sottile e nobile dell’essere umano, la dolcezza dell’animo. Appare persino banale parlare di garbo come di un valore positivo ma nella quotidianità che ci circonda, al contrario, sembrerebbe proprio l’opposto a prevalere. Ma siamo una società cattiva allora? No, distratta.
La gentilezza è un atto superfluo, un’attenzione gratuita e disinteressata per qualcuno a cui non si deve nulla; un gesto di riconoscimento della presenza altrui che per sua natura si offre con delicatezza, senza mai imporsi. Essere gentili segue la scelta di uscire dalla propria dimensione per calarsi in quella dell’altro e cercare il suo benessere; un gesto che ha effetto benefico su chi lo compie e su chi lo riceve. Quante altre cose nella vita posseggono questa meravigliosa qualità? L’affabilità oltre ad avere una profonda radice etica, è notoriamente una virtù custodita da chi è consapevole del fatto che fare del bene è il primo passo dello stare bene.
Quella che può essere fraintesa come una debolezza demodé è invece una dote che appartiene a chi conosce il valore della pazienza e dà importanza agli altri, riservando per loro le cose migliori, insieme alla sua tolleranza. È molto più difficile essere garbati che scortesi, soprattutto nei confronti di chi non pratica lo stesso tipo di attenzione ma spesso la cortesia può essere più forte dell’eloquenza o della sapienza, nel compito del servizio al bene.
La gentilezza è il linguaggio che anche il sordo può sentire e il cieco può vedere, un atto che combinato con la misura e la forza può raggiungere profondità inimmaginabili, dà poesia alla vita e grazia ad ogni momento, trasformando intimamente ciò con cui viene in contatto. La gentilezza è una pianta che si semina e, come poche altre cose nella vita, dà i suoi frutti subito e guadagna sapore con la maturità. Perfino il più piccolo gesto di gentilezza può illuminare un cuore incattivito e addolcirlo. La gentilezza può cambiare davvero una giornata e la vita delle persone.
Gentilezza significa ricercare la via armoniosa di ogni rapporto, ascoltare le esigenze di ciò con cui si è in relazione, non solo delle persone importanti o utili ma anche nei confronti dei piccoli e di chi non può restituire niente, anche con chi è sgarbato, quelli che ne hanno più bisogno.
Gentilezza è vivere con grazia lo scambio con gli altri, ma anche con sé stessi, con l’ambiente, con il tempo e con il destino. Ascoltare, attendere e concedere il giusto tempo a ogni cosa, accettare le differenze e le incomprensioni, anche i rifiuti, avere un approccio disponibile e benevolo nel giudizio e con l’idea di dover avere ragione.
Nessun atto di gentilezza è sprecato perché non mira ad un risultato ma ha valore per se stesso, senza aspettarsi una ricompensa. Una carezza dell’animo ammorbidisce in profondità ed è la trincea contro la solitudine e la paura. Ogni cosa può essere rivestita di gentilezza, anche il silenzio, un sorriso senza ragione, un piccolo gesto inatteso o un’arcaica galanteria, anche da parte di una donna (il gentil-sesso), perché no?
Ogni persona, come noi, sta combattendo la sua battaglia e non ne sappiamo nulla, alleiamoci invisibilmente con lei. Il potere trasformativo della gentilezza è reale e sperimentabile, impariamo a viverlo come un’abitudine, non un’eccezione, e a partire da noi stessi, come una bella melodia, si diffonderà addolcendo tutto attorno a noi.
Luca Streri
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