È un atteggiamento tipico delle società benestanti. Prolifica nel pettegolezzo delle sale d’attesa, nei comizi dei politici in cerca di risonanza a poco prezzo, fino ai banconi dei bar e delle mense. C’è sempre stato, fin dai romani all’epoca dell’Impero e non passa mai di moda.
La potremmo chiamare la “sindrome del creditore”, quella forma di aspettativa permanente che fa credere di essere costantemente vittime di ingiustizia a cui qualcuno deve porre rimedio. Il creditore cronico infatti non è soddisfatto fino a quando la situazione non si ristabilisce nell’ambito delle sue aspettative. È un’attesa perenne, una situazione di pretesa e di sospensione ansiosa che diventa rapidamente inquietudine e spesso rabbia.
Ma di quale credito aspettiamo rimborso? Qual è il parametro che ci assicura che quello che noi ci aspettiamo sia davvero la cosa giusta o che sia addirittura possibile? Ma soprattutto, chi lo deve fare e qual è il modo giusto?
Esistono molte verità ed innumerevoli modi di interpretare fatti e scelte e pensare ad un consenso sempre unanime è un’aspettativa ingannevole. Ma se è vero che il fine non giustifica mai i mezzi, allora rifiutare la lamentela, la polemica e lo scarico di responsabilità diventa il presupposto fondamentale per vivere in una complessità crescente ed il compromesso può offrire la base fecondante per uno scambio consapevole e una collaborazione che ricerca un equilibrio tra posizioni diverse attraverso una semplificazione delle attese e delle pretese.
Esiste una linea che è necessario imparare a tracciare per riuscire a separare ciò che compete noi e ciò che non lo è. Alcune cose non possono sottostare al nostro controllo, altre non lo sono neanche per coloro a cui le deleghiamo e pretendere di gestirle provoca frustrazione e conflitto. La fiducia negli altri ed il riconoscimento della bellezza intrinseca delle cose e delle persone, sono i primi atti di restituzione e di gratitudine che possiamo mettere in atto per uscire da questa sindrome tossica.
Il pregiudizio, il giudizio superficiale e la delega delle responsabilità disallineano gli equilibri ed i ruoli e demotivano all’impegno e alla comprensione. Lasciare che questi atteggiamenti comandino i nostri pensieri contribuisce in maniera significativa al grado di percezione del nostro benessere e alla nostra capacità di creare armonia nell’ambiente in cui viviamo.
Un contributo realistico e positivo alla giustizia è insito nelle responsabilità che ognuno ha nella società e si realizza con l’impegno personale e l’accettazione dei limiti propri e di quelli degli altri, nell’umiltà di sopportare anche le differenti visioni, le difficoltà ed i contrattempi. Costruire vuol dire investire, sbagliare ed essere grati per ciò che si riesce a fare, senza aspettarsi sempre risultati, riconoscimento o gratifica ma agendo per la consapevolezza di essere nel giusto con il proprio impegno e con la modestia di condividere fatica ed esito. Se crediamo in questo paradigma e condividiamo questi valori, allora forse potremmo provare a trasformare la sindrome del creditore in “seme della fiducia” e diventare vignai dell’armonia, con i calici della vita sempre mezzi pieni e pronti a brindare alle bellezze del mondo e a inebriarsi di esse.
Luca Streri