per la campagna per la Parità di Informazione Positiva #mezzopieno
Giornalista pubblicista e professionista associata certificata FERPI – Federazione Relazioni Pubbliche Italiane. Svolge attività di consulenza di direzione strategica, tattica, operativa e di progettazione e docenze di formazione manageriale in tema di comunicazione d’impresa. È responsabile della Campagna Nazionale Qualità ideata nel 1989 per il Gruppo Galgano. Coautrice del libro “Il Movimento della Qualità in Italia” (Guerini e Associati 2014). Ideatrice e amministratrice della social community “Il giornale delle buone notizie”.
Cos’è per lei una buona notizia?
Per me una buona notizia è un’informazione relativa a un fatto, uno scenario o una tendenza che contenga un utilità per l’opinione pubblica. Non deve trattare necessariamente un fatto positivo. Al contrario: si può parlare di un tema negativo dandone una lettura che stimoli alla riflessione e che induca a pensare a soluzioni per quel problema. Può anche proporre letture alternative, scoprire un ‘risvolto della medaglia’ inaspettato e portare a un confronto risolutivo. Una buona notizia non deve essere quindi, per forza, ‘una buona notizia’: il mio motto è che anche un problema si può trasformare in un tesoro.
Qual è per lei il ruolo dell’informazione nel benessere della società?
L’obiettivo dell’informazione e del giornalista dovrebbe essere sempre quello di portare a una riflessione costruttiva su tematiche di interesse collettivo. Senza strumentalizzazioni, senza la ripetizione ossessiva e lasciando, soprattutto, sempre spazio al dubbio. La verità è un concetto filosofico ed è molto difficile da stabilire, specialmente in alcuni casi: basti pensare alla pandemia e alla polarizzazione del dibattito. La verità assoluta non esiste e la buona informazione ha il dovere, in questo caso ad esempio, di mantenere il dubbio quando vengono date le informazioni. In ultimo: l’informazione porta benessere collettivo quando non è, in alcun modo, propaganda.
Può il giornalismo rappresentare uno strumento per aumentare la fiducia e ridurre la conflittualità?
Assolutamente si. Io sono dell’idea che per formare un’opinione pubblica attiva e partecipativa bisognerebbe iniziare ad educare già nelle scuole a un consumo delle informazioni che non sia passivo e che sappia cercare e valutare le notizie in modo indipendente. Il giornalismo d’avanguardia dovrebbe essere poi quello che stimola ed evidenzia nuove opportunità e idee: con il livello di bulimia di news che viviamo in questi giorni, potremmo approfittarne per creare molta informazione di valore.
Qual è il suo contributo per una buona informazione?
Il mio contributo ruota intorno a tre aspetti fondamentali. Il primo è che, in generale, mi documento molto, cerco fonti anche molto specifiche, confronto dati, fatti e notizie per capire come queste vengono confezionate. Il secondo aspetto è stato quello di tradurre la mia esperienza in corsi di informazione specifici per la comunicazione d’impresa e, in questo ambito, su come anticipare l’informazione di crisi. Il terzo aspetto è stato fondare il giornale online delle Buone notizie. È un impegno volontario da cui non traggo alcun profitto e che ha come obiettivo quello di valorizzare i social e la rete per un obiettivo sociale. Il giornale è aperto agli iscritti, che possono proporre le loro buone notizie e che sono, spesso, delle vere e proprie esperienze di vita.
Cosa vuol dire per lei vedere il bicchiere mezzo pieno?
Sono convinta fermamente che ogni problema nasconda un prezioso tesoro. Nulla è perfetto, ma tutto è perfettibile e partendo da questa idea possiamo provare a immaginare come ‘riempire il bicchiere’. Possiamo decidere in autonomia come e cosa guardare, come nutrire il nostro sguardo e come nutrire quello degli altri. Tutto ciò senza dimenticare che il contrasto, comunque, non può sparire del tutto: in parte ci sarà sempre.
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