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IL TEMPO CHE CUSTODIAMO DENTRO DI NOI

Editoriale

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L’abbracciare a lungo una persona a cui si tiene tanto e il desiderare che non finisca mai. L’attesa per qualcuno che è in ritardo, o la fila dal dottore. Ci sono circostanze che riescono a dare al tempo un valore diverso, che ne fanno percepire intensamente il senso e che sembra abbiano la capacità di estenderlo o di accorciarlo. Attesa ed entusiasmo, euforia e contemplazione si alternano continuamente nella nostra vita, modificando la percezione che abbiamo di alcune situazioni. Eppure, il tempo fluisce in modo uguale per tutti anche se a volte sembra troppo lento per coloro che aspettano, troppo rapido quando si ha paura, troppo lungo per quelli che soffrono, troppo breve nei momenti di gioia. Le nostre macchine del tempo poi ci possono persino riportare indietro, come i ricordi, o spingerci avanti come i sogni. E poi ci sono i momenti che durano per sempre, quelli in cui sentiamo che quello che stiamo facendo ci completa totalmente.

Quella consapevolezza di immensità dell’universo che in alcuni momenti raggiungiamo, talmente profonda e indecifrabile da impedire di afferrarne tutto il significato nascosto, è stata descritta dai giapponesi addirittura con un termine, yuugen. La fulminante sensazione di shock e al tempo stesso di rinvigorimento che si ha quando ci si tuffa nell’acqua gelida è la Curglaff  per gli scozzesi. Sono istanti che ci fanno improvvisamente sentire tutta l’intensità di esistere, riempiti in profondità da un guizzo di vita che supera il valore del tempo che dura. Gli arabi per esempio usano la parola tarab per descrivere lo stato di estasi che si prova quando si ascolta una musica che incanta, mentre il desbundar portoghese è il momento in cui ci si riesce a liberare delle inibizioni e ci si apre al divertimento, lasciandosi andare senza freni. Il vorfreude tedesco è quello stato di pre-felicità che viene nel pregustare una felicità futura e il pocemucka per i russi è il momento in cui una persona si trova quando è bloccata da mille domande. L’intensità di alcuni istanti è talmente forte da renderli permanenti e sembra ridargli vita ogni volta che li rievoca nella mente.

Il fernweh per i popoli germanici descrive quella nostalgia di posti lontani e il profondo desiderio di viaggiare che assale ogni tanto le persone e le fa distaccare dal tempo e dal luogo in cui sono e il shu cinese è lo stato intimo permanente di quando si porta una persona impiantata nel proprio cuore. L’iktsuarpok nella lingua degli inuit è la frustrazione che si prova quando si sta aspettando qualcuno che è in ritardo mentre il waldeinsamkeit tedesco è quella sensazione che si provaquando si è da soli in un bosco. Questi spazi riescono ad entrare in contatto con l’anima e a dargli un valore eterno portandoci quasi fuori dalla realtà. Allora anche contesti comuni possono diventare spazi eterni e caricarsi di una forma di sacralità, come lo yakamoz turco, l’osservare il riflesso della luna sull’acqua o il cafuné portoghese, il gesto di passare le dita sui capelli della persona amata, o l’islandese hoppípolla, quella voglia prorompente di saltare nelle pozzanghere.

Anche quando sono passati, certi momenti rimangono come se non fossero mai finiti. Difficile dimenticare quando ci è capitato di provare quello che i coreani chiamano il nunchi, la sensazione di sentire dentro di sé l’umore di un’altra persona o l’a-un (giapponese), quello che si prova quando ci si è intesi con qualcuno senza essersi neanche dovuti parlare. C’è poi l’utsura-utsura che in giapponese è quello stato magico in cui si è a metà tra sonno e veglia o il gigil che in lingua tagalog descrive il desiderio talmente forte di stringere qualcuno da volergli quasi fare male. In giapponese esiste una parola, Kensho, che descrive quel momento improvviso in cui si ha un’illuminazione folgorante, mentre trepverter (yiddish), significa l’arrivo dell’idea giusta che cercavi durante una situazione ma che ti è venuta in mente proprio appena sei andato via. Quanto valore ha un begadang (indonesiano), il restare svegli tutta la notte a parlare con qualcuno senza accorgersi del passare del tempo o il qarrtsiluni (in lingua inuit) che descrive lo stare seduti in silenzio vicino ad un’altra persona prima che succeda qualcosa di molto importante?

Per i tedesco esiste lo schnapsidee, quel momento di riso incontenibile misto a pianto che viene quando si è ubriachi e per gli italiani, ogni giorno al calar della sera, c’è il meriggiare, quello stato di pace che si crea alla fine della giornata quando il dì e le fatiche lasciano il posto alla serenità e alla quiete; un momento eterno che se vogliamo possiamo assaporare ogni sera della nostra vita.

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Luca Streri | Mezzopieno

 

 

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