per la campagna per la Parità di Informazione Positiva #mezzopieno
Giornalista, conduttore e opinionista radiofonico e televisivo. Direttore della comunicazione e delle iniziative editoriali del gruppo Affari Italiani, coordinatore guide L’Espresso. Scrive per Ansa, Il Giornale ed è stato capo ufficio stampa e portavoce del presidente della Regione Lombardia. Lavora da sempre per diffondere la cultura della positività e dell’eccellenza italiana ed è messaggero della cultura del bello e dell’impegno operoso di chi fa cultura nei territori.
Qual è per lei il ruolo dell’informazione sul benessere della società?
L’informazione dovrebbe saper raccontare i passi che il mondo fa, anche quelli piccoli, dovrebbe individuare e portare l’attenzione sulle storie positive, di impegno delle persone che credono in quello che fanno e di chi fa
il meglio di sé stesso, della fatica quotidiana e della passione, è molto importante valorizzarli. Tanti esempi e spunti possono essere trasmessi per ispirare altri ad essere migliori, permettere all’opinione pubblica di costruirsi una consapevolezza per capire che anche nelle situazioni difficili ce la si può fare.
Cos’è per lei una buona notizia?
Dopo averla appresa riesce a dare uno spunto di azione e di reazione, ci dà l’energia per metterci in movimento positivo che può essere intimo o anche concreto.
C’è una tendenza dei media ad utilizzare le notizie negative per fare audience, non direi una colpa ma piuttosto un’abitudine.
Può il giornalismo rappresentare uno strumento per aumentare la fiducia e ridurre la conflittualità?
Assolutamente sì, almeno altrettanto quanto lo rappresenta nel contrario. Purtroppo abbastanza spesso la polemica vince sul dialogo, l’attacco vince sulla mediazione e ha sempre fatto più notizia la cronaca drammatica
rispetto a quella felice. Di solito parlare di cose positive viene considerato un “di più”, ma nei compiti dei media dovrebbe esserci anche la narrazione di buone pratiche di impegno e di passione.
Qual è il suo contributo per una buona informazione?
Nel mio lavoro ho il privilegio di poter parlare con competenza di fatti che non coinvolgono la cronaca drammatica, questo per incarico, posso starne fuori dal punto di vista giornalistico e dedicarmi ad uno
story-telling di narrazione positiva. Non penso che si debba sempre parlare bene di tutti, non tutti meritano l’attenzione mediatica ma chi la merita è perché dovrebbe avere qualcosa da esprimere che valga la pena, nel bene e nel male. Se qualcosa non corrisponde al mio sentire non lo scrivo, comunque evito di parlarne male anche perché penso che nessuno di noi sia in grado di giudicare qualcun altro.
Ogni mattina sul mio account social posto una foto che scatto nel luogo in cui sono con una frase positiva e la scritta #sorrisi un hashtag per iniziare positivamente la giornata. Il giornalismo che distrugge è un giornalismo sbagliato: si può dare un suggerimento, si può esprimere un’idea su cosa può essere migliorato ma sempre in un ambito di rispetto per ciascuno. La libertà del giornalista dovrebbe essere di parlare di ciò di cui vuole parlare,
questo è sancito anche dalla carta dei diritti dei giornalisti.
Cosa vuol dire per lei vedere il bicchiere mezzo pieno?
E’ la volontà di guardare al presente e di viverlo al meglio e di fare qualcosa di utile per sé e per gli altri ogni giorno e di vedere al domani come una nuova opportunità e non come un ripetersi di meccanismi scontati e di cliché che non possiamo modificare.
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